Nel suo sport è la numero uno del globo. La più forte, la migliore. Un orgoglio italiano di cui essere davvero fieri. Jleana Valentino in carriera ha conquistato il torneo di shootboxing Girls S-cup 48kg in Giappone. È campionessa europea in carica di WBC e WFC Muay Thai. E per cinque volte si è laureata campionessa nazionale. Una ragazza determinata, da cui prendere esempio, con varie passioni. Come quella per il calcio e per l’Inter. In esclusiva per FcInterNews ecco l’intervista alla giovane atleta.
Da dove nasce la passione per il MuayThai?
“Per caso, da piccola, a circa sei anni, dopo aver visto Rocky Balboa. Allora non avevo idea che oltre alla canonica boxe si potesse combattere anche con calci, gomitate e lotta. Mi limitavo a sognarmi ‘pugilessa’. In seguito, ogni volta che rivedevo il primo film della saga, venivo sempre travolta da trepidazioni incontrollabili. Queste, unite ad altri eventi difficili della mia vita, mi hanno portato ad essere ciò che sono oggi: una Fighter”.
Perché la chiamano Nikita?
“Per aspetto, carattere aggressivo, resilienza, l’essere coriacea e abbastanza incline alla follia. Sono tutte caratteristiche che mi riguardano e per le quali sono stata soprannominata Nikita pochi mesi dopo l’aver iniziato gli allenamenti. Il mio maestro e miei compagni mi hanno immediatamente associata al famoso telefilm. Quello in cui la protagonista, una delle reclute pronte a morire per un’agenzia governativa fuori controllo che addestra le persone per renderle vere e proprie killer, diventa la più letale, colei che cerca vendetta da chi l’ha tradita”.
Quali sono i prossimi obiettivi della tua carriera?
“Ho un po’ di cose che bollono in pentola. Senza dubbio uno tra i principali sarà difendere il mio mondiale a Tokyo. Non intendo cedere la mia cintura”.
È tifosissima dell’Inter. Quando e perché nasce la passione per i nerazzurri?
“Credo di essere nata già con il sangue di questi colori. Sin dai miei ricordi più lontani ho la certezza che l’Inter fosse l’unica squadra che non mi facesse annoiare. Provavo delle emozioni che andavano oltre l’esito della partita. Sentivo ‘amica’ a prescindere ogni persona con la casacca dei meneghini”.
Ogni quanto va a San Siro?
“Purtroppo non posso essere presente ad ogni partita per via del mio lavoro, che mi porta a spostarmi di città in città, comportando la lontananza da casa e dallo stadio. Ma una cosa è certa: quando torno a Milano le tappe fisse sono parenti, gli amici e il Giuseppe Meazza.
Negli ultimi anni mi è capitato spesso di abbandonare il settore rosso per raggiungere volentieri gli amici della Curva Nord, che oltre ad essere compagni di maglia sono miei veri e propri fan. Riconoscono il mio valore sportivo e colgo quindi l’occasione per ringraziarli per il supporto che mi trasmettono ogni volta per le mie imprese”.
Ricorda il suo battesimo alla Scala del calcio?
“Ero piccolissima. Con uno dei miei zii, un vero tifoso interista, tanto da piangere in ogni partita.
Crescendo poi le circostanze della vita mi hanno sempre tenuta più vicina ai Nerazzurri. Un esempio? La mia relazione con l’ex giocatore dell’Inter Choutos. Abitavo a Roma, ed è lì, in una palestra di k1, che ho conosciuto Lambros. Non immaginavo nemmeno lontanamente che il suo passato appartenesse così in prima persona ai colori della mia maglia”.
Quale è stata la partita allo stadio che le ha suscitato maggiore emozione?
“Ogni gara è differente dall’altre. E i giocatori oggi ci sono e domani possono essere altrove: quando guardo i match sono più concentrata sul significato di squadra, che non su quello dei singoli. Posso però dire che i Derby sono senza ombra di dubbio le partite che preferisco, quelle che ti fanno stare a chiappe strette (se si può dire) 90 minuti. In questa ora e mezza ogni passaggio, azione o tiro è un trasalimento al cuore. E quando l’Inter segna, sentire il boato di San Siro, le gradinate instabili della Curva che ondeggiano sotto i piedi come se da un momento all’altro potessimo finire di sotto, i tifosi che esultano: è un brivido che ti pervade, ragazzi!”
Chi è il suo calciatore preferito dell’attuale rosa? Per quale motivo?
“Lautaro Martínez. Giovane, grintoso e concreto. Un ragazzo sul quale l’Inter dovrebbe investire”.
Quale invece quello che le è rimasto più nel cuore?
“Javier Zanetti. Ho avuto il piacere di trascorrere con lui una settimana seguendo Lampros con la squadra di beneficenza di Inter For Ever in Cina. Non gli ho detto quanto lo stimassi per mille ragioni, ma lo faccio ora. Parliamo del nostro Capitano indiscusso, nonostante abbia terminato la carriera da calciatore. Quello di cui ogni squadra ha bisogno. Modello di sportività assoluta, di umiltà, educazione, impegno e devozione alla maglia, degno di indossare la fascia per il valore che rappresenta. Ci ha sempre fatto sognare. Mi auguro che i futuri Capitani dell’Inter prendano esempio da lui”.
Cosa pensa di Antonio Conte?
“Lo ricordo come un giocatore intelligente, combattivo e abile, sia nella fase difensiva che in quella offensiva. La sua grinta da calciatore la sta incanalando ora da allenatore. E devo dire che quest’anno vedo finalmente l’Inter con un’idea di gioco. Conte ha tolto alcuni i top player dal campo, e comunque la squadra in campo combatte e vince. Merita tutta la fiducia che il Presidente Zhang gli ha concesso per riportare in vetta i meneghini. Io fiduciosa nel lavoro del mister”.
Dove pensa possa arrivare l’Inter in campionato e in Champions?
“Dirlo con esattezza sarebbe un azzardo. Siamo una squadra in crescita, abbiamo molti giovani talenti su cui poter lavorare. Sono certa che Conte saprà fare del suo meglio per dimostrare il valore del gruppo. Poi sappiamo tutti che la Juventus ha grandi giocatori, anche i subentranti risultano essere decisivi. L’Inter non ha una rosa così profonda, ma potenziali grandi giocatori con meno esperienza, che devono ancora affermarsi. E sono certa che potranno farcela. Aggiungo che la storia insegna che con la forza di volontà puoi fare cose che possono sembrare impossibili agli occhi degli altri. Anche io ho affrontato avversarie che sulla carta avrebbero dovuto mettermi al tappeto, invece sono stata io a mettere al tappeto loro! Inter: credi e rendi possibile l’impossibile!”
Spesso, purtroppo, si dice: “il calcio è uno sport da maschi”. Immagino che tale diceria ci sia pure nel MuayThai. Come si combatte questa forma di maschilismo?
“Purtroppo questa forma di ignoranza è ancora presente e diffusa. Un po’ come una malattia.Ho riscontrato spesso questo problema anche nel mio sport e non intendo sprecare molte parole in merito. Mio nonno diceva sempre che l’ignoranza ha causato più morti della guerra. Non è curabile purtroppo. Noi donne abbiamo dimostrato di essere di gran lunga all’altezza in ogni circostanza, in ogni ambito. Un uomo non sarebbe minimamente in grado di conciliare lavoro, casa, famiglia, figli, moglie, palestra, cena, amici: una donna sì! Un uomo non è minimamente in grado nemmeno di tener testa ai dolori del ciclo mestruale, figuriamoci quelli di un parto. Per farla breve, una donna può fare tutto ciò che fa un uomo. Come tirare pugni, guidare un autobus, giocare a calcio. Un uomo non saprebbe vivere nemmeno mezza giornata al posto di una donna”.
C’è un calciatore dell’Inter che, con le dovute proporzioni e differenze, combatte in campo come lei sul ring?
“Si, onestamente mi posso definire affine a Lautaro Martínez: un giovane talento che corre e non ha paura di giocare. La sua presenza in campo non è passiva. Lo trovo molto caparbio, pronto a farsi il mazzo. Vuole dimostrare che lui c’è. La sua grinta e anche il suo essere testa calda mi rispecchiano. Mi ha sempre dato un po’ l’idea di avere del Taz - il diavoletto della Tasmania cartoon - quando inizia a correre”.
È vero che si è allenata con Balotelli e che scherzosamente ha detto che lo avresti menato se vi foste davvero cimentati in un combattimento?
“Come ho già dichiarato in precedenza, tale questione è nata quando lui si allenava ogni tanto a porte chiuse a Novara con il mio maestro dei tempi Christian Fabiano. Capitò che venisse proposto a Balotelli di farmi da sparring, ma lui seccato rispose con un: ‘Io non picchio le donne’. Allora il mio insegnante gli rispose con una battuta: “Tu inizia a prenderla, poi vediamo se riesci a picchiarla”. Alla fine quell’incontro non cominciò mai. Mi innervosii talmente tanto che presi le mie cose e andai a farmi la doccia. Me lo ricordo come fosse ieri. Mario era ancora un ragazzetto magrolino senza troppa forma. Se ripenso a come sono stata trattata, con sufficienza, solo perché sono una donna, mi verrebbe quasi da prenderlo a pugni sui denti senza guantoni. Ma sono storie vecchie. Passate. Qualche anno più tardi ci siamo infatti incontrati nuovamente in una palestra a Milano. Mario era diventato enorme, alto due metri, muscoloso. Sembrava un dinosauro rispetto a come lo ricordavo. In ogni caso il nostro approccio fu diverso, più umano e meno presuntuoso, tanto che a fine serata cenammo tutti insieme all’Arco della Pace”.
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