Se per Agatha Christie tre indizi fanno una prova, tre partite ancora non bastano per avere prova dell’Inter. Per averne un’idea. O, meglio, se ne possono avere diverse. Chi se la sente di dare sentenze o è molto sicuro di sé, o è un inguaribile ottimista o un irremovibile pessimista, o è destinato ad essere smentito. Perché, come spesso le accade ma soprattutto come è nella sua intrinseca identità, l’Inter ha fatto vedere tutto e il contrario di tutto. Non resta che mettere assieme appunti sparsi, frammenti di annotazioni e considerazioni sull'identità data dal mercato, le giocate viste su tre campi e una sospensione del giudizio resa necessaria dal potenziale in divenire.
A Reggio Emilia col Sassuolo novanta minuti quasi di nulla, con freno a mano tirato e poco o niente di buono da conservare se non la consapevolezza di essere parecchio indietro rispetto a quanto urlato dai pericolosi e dannosi proclama estivi post-calciomercato. Inter lenta e prevedibile davanti, scoperta al contropiede avversario dietro con una condizione fisica generale che neanche a inizio luglio. A San Siro col Torino un primo tempo a sorpresa perfetto fatto di pressing alto, corsa, imprevedibilità offensiva coi continui movimenti di Politano e Perisic alle spalle di Icardi e il capitano stesso, a sua volta, spesso lontano dal cuore dell’area a fare sponde, assist e ad andarsi a prendere il pallone con la conseguenza diretta poi di averlo meno lucido e spietato davanti alla porta; ma anche una ripresa, per nulla a sorpresa, semplicemente non giocata, con i non irresistibili granata invitati e invogliati all'avanzata dalla progressiva sparizione del centrocampo e da un atteggiamento molle e rinunciatario di una squadra che chiaramente non poteva tenere lo stesso ritmo e la stessa intensità del primo tempo: inchiodatesi le gambe, altrettanto hanno fatto piedi e testa.
Ancora diverso il discorso per la gara del Dallara col Bologna, delle tre di gran lunga la più coerente e credibile anche se il risultato finale non spiega del tutto le fatiche e le difficoltà tipiche di questi campi e di questi avversari (e anche di questo momento della stagione in cui, lo possiamo dire, nessuno ha fatto vedere un calcio convincente ed entusiasmante ma semmai qualcuno è stato bravissimo a portare a casa punti nonostante tutto). Contro gli 11 soldati schierati in trincea da Inzaghi, Spalletti ha fatto di necessità virtù: privo di Icardi e Lautaro Martinez, si è inventato il falso nueve in salsa nerazzurra. Keita teorica punta centrale con Nainggolan trequartista più Perisic e Politano larghi sugli esterni. Nella pratica tutti questi quattro giocatori si sono continuamente scambiati ruoli e posizioni in un tentativo di non dare riferimenti che a volte, però, i riferimenti ha finito per toglierli all’Inter stessa.
L’idea di base, vista nel primo tempo col Toro, è quella di avere un centrocampo che recupera, i terzini che salgono e un attacco frizzante e imprevedibile quanto mobile e privo di rigide assegnazioni: così capita di vedere Politano prima a destra poi a sinistra poi al centro dell’attacco, Perisic e Keita fare la stessa cosa, Nainggolan stare a ridosso della punta o abbassarsi a prendere palla dai difensori o alzarsi a fare lui il numero 9. Questo sistema, però, fatto di corsa continua, richiede una condizione fisica ottimale, vicina alla perfezione; e un avversario che non abbia come unico obiettivo quello di stare dietro la linea della palla. Qui l’Inter va un po’ più in difficoltà, quando la deve tenere palla, manovrare, costruire a difesa schierata, giocare tra le linee: perché questa squadra sembra più adatta alle sfide a viso aperto, contro avversari che ti attaccano e che quindi poi ti lasciano lo spazio per ripartire e distenderti in velocità. Sulle ali dell’istinto più che della ragione.
Chiaro dunque che a Bologna si sia vista una gara a lungo lenta, fatta di molte giocate orizzontali, tocchi e ritocchi ravvicinati che non permettevano di guadagnare metri, cross ribattuti e occasioni quasi mai (a parte un paio di Keita) limpide e senza opposizione. E si è sentita l’assenza di Icardi, di un riferimento vero, di un vero 9 che attacchi lo spazio e il primo palo anticipando anziché farsi anticipare dai difensori sui palloni messi in area. Ma la pazienza e il movimento sfiancante dei “finti attaccanti” alla lunga ha pagato con quella classica giocata che ha spaccato la partita e l’ha messa sul velluto grazie ai due che più di tutti lo sanno, come giocare tra le linee: Politano (la nota più lieta di queste prime tre gare) che ha servito l’imbucata e Nainggolan che si è inserito con controllo-tiro-gol. Sbam. Tutto quello che era mancato la scorsa stagione, tutto quello che serve in situazioni così.
La mobilità di un attacco senza riferimenti è un’arma in più (e un modo per sfruttare al massimo il potenziale offensivo oltre che l’interscambiabilità di giocatori che sanno fare diversi ruoli e in diverse posizioni). Spalletti, però, deve anche registrare la difesa a 3 che ha concesso due gol in casa al Torino e al Bologna un paio di colpi di testa (un paradosso per chi ha Skriniar e De Vrij a protezione della propria porta) a Helander e Santander su cui Handanovic ha prima parzialmente riscattato la “passeggiata lunare” sul gol di Belotti della giornata precedente poi rivolto preghiere al vicino santuario di San Luca con la palla che ha sfiorato il palo col risultato sull’1-0. Spalletti dovrà anche essere bravo, oltre che a trovare un centrocampo che garantisca copertura per 90 minnuti, a fare quello che l’anno scorso non poteva fare: scegliere. E saper cambiare, all’occorrenza. Col Bologna la mossa gli è riuscita anche se l’Inter è chiaramente incompiuta sia per una condizione generale e un’intesa da affinare e migliorare sia perché nel contesto dell’attacco va inserito e sfruttato il miglior Icardi che, al di là delle opzioni e dei numerosi impegni che potranno anche dirottarlo verso qualche panchina in più, resta un riferimento e un terminale essenziale. E il titolare dell’attacco, che l’Inter si potrà permettere di spremere in un gioco dispendioso sapendo di poterlo, eventualmente, far rifiatare. Un Icardi che, in ogni caso, non vivrà più di quella solitudine da area di rigore che ha tanto caratterizzato le sue ultime stagioni nerazzurre: il più vero dei nueve chiamato, nella stagione della sua maturità, a "falsizzarsi", a essere riferimento in una squadra che non ne vuole dare all'avversario ma che prima ne deve dare a se stessa per iniziare a capire quale identità assumere. Nei moduli e nella testa.
"Anche gli scettici, dunque, speravano di impadronirsi dell'imperturbabilità dirimendo l'anomalia degli eventi sia fenomenici sia mentali, ma, non essendo in grado di riuscirci, sospesero il giudizio” scrisse nel II secolo il filosofo greco Sesto Empirico. Filosofo scettico. Scettico che però si limitò, infatti, a sospendere il giudizio. Gli appunti, a oggi, sono ancora troppo frammentari.
VIDEO - IL "NINJA" FA IMPAZZIRE TRAMONTANA: BOLOGNA-INTER 0-3
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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