Calcio di luglio e di agosto, Inter mia non ti riconosco. O meglio, non voglio riconoscerti. O meglio ancora, non voglio pensare di dover riconoscere il fatto che tu sia questa anche quando la calura estiva calerà e allora si comincerà a fare sul serio. Perché i giorni che mancano al 31 agosto, data fatidica della scadenza del calciomercato, sono sempre meno, e l’ansia dei tifosi aumenta in misura esponenziale rispetto al contemporaneo diminuire del tempo. Walter Sabatini e Piero Ausilio sono tornati belli pimpanti (soprattutto il primo, che ha saputo replicare con sciabolate secche alle parole del suo ex presidente James Pallotta) dalla Cina dove hanno preso parte al manager meeting diretto dal numero uno di Suning Zhang Jindong e a quanto pare si preparano alla seconda fase di acquisti, coi nomi che ormai sono sulla bocca di tutti da un pezzo, da Henrique Dalbert che ormai non sa più in che lingua dire che la sua avventura al Nizza è al capolinea però è rimasto a disposizione per la gara di preliminari di Champions League contro l’Ajax salvo poi giocare neanche dieci minuti con tanto di tempesta di fischi, a Matias Vecino per il quale è arrivata anche l’ufficiosità dell’arrivo firmata Stefano Pioli. Tutto questo per infarcire ulteriormente di contenuti romantici il debutto in campionato.
Rimane da capire se e quando arriverà la vera occasione per portare nella Milano nerazzurra un giocatore da mobilitazione di massa, che abbia magari effetti migliori di quelli di Xherdan Shaqiri e Geoffrey Kondogbia, gli ultimi per i quali il tifo nerazzurro ha invaso piazze ed aeroporti; ma se Sabatini da un lato continua a far capire che le trattative non possono risolversi nel giro di qualche giorno se si vuole farle bene, e dall’altro anche il presidente Erick Thohir ha trovato opportuno il momento per tornare a esporsi sull’Inter dopo mesi di silenzio e testa su altre faccende per ribadire che il percorso di ricostruzione della squadra nerazzurra non deve essere assimilato in alcun modo a quello del nuovo Milan di Yonghong Li, il popolo continua a soffrire perché vede i declamati grandi obiettivi sfumare per via di dichiarazioni che lasciano poco all’immaginazione o per l’arrivo di ufficialità con tanto di foto che nell’arena dei social raccolgono commenti al veleno per via di un copritavola dai colori equivoci (che a voler essere pignoli e guardare bene, sembra più una bandiera blu-celeste del Lecco che una nerazzurra dell’Inter). E agli appelli alla calma su siti e tv, adesso chi ci crede più…
Tutto ciò non fa che rendere ancora più parziale il giudizio su quello che parziale lo è praticamente di natura: le amichevoli estive, il circo di partite atte a saziare la fame diventata ormai atavica di pallone anche quando sarebbe più logico staccare la spina, al punto tale che ormai, alle sgambate con piccoli club espressioni delle realtà locali dei vari ritiri estivi da concludersi con goleade di varia entità, le grandi squadre da qualche anno a questa parte hanno preferito cedere al richiamo dei soldi che spostano i big match già a luglio nei punti più disparati del globo. Ma che siano in Italia, in Europa, in Cina, a Singapore o negli Stati Uniti, le partite estive sono sempre state foriere di indicazioni approssimative quando non di exploit temporanei: basti pensare, fra i tanti episodi, al missile terra aria scagliato contro il Manchester City da Cristiano Biraghi oppure al tunnel rifilato da Dodò a Dani Carvajal, che lo ringraziò tirandogli una stecca paurosa. Carvajal che poi negli anni avrebbe messo in bacheca, tanto per stare stretti, due Champions League di fila mentre il brasiliano si è, diciamo, un po’ perso nei meandri.
L’ultima campagna oltreoceano fu foriera di pessime notizie, con una squadra che prendeva schiaffi a destra e sinistra complice la pressoché totale impossibilità a dare continuità alla preparazione, ma soprattutto il clima di tensione che cominciava ad aleggiare pesante su tutta l’Inter, culminato con l’allontanamento di Roberto Mancini e la successiva stagione in balia delle intemperie più svariate. Forse è per questo che quanto sta succedendo adesso può fare ben sperare. Perché l’Inter di Luciano Spalletti, destinata forse a recitare un ruolo da sparring partner in questa tournée asiatica, ha invece saputo stupire in positivo. Per i risultati, che nel caso delle gare contro Schalke 04 e Olympique Lione avrebbero potuto anche essere più ampi, ma soprattutto per come si è espressa la squadra in campo.
In questo senso, si può dire che, anche in tempi relativamente brevi e con una rosa che probabilmente è ben lungi dall’essere definitiva, il lavoro di Luciano Spalletti sta portando già alcuni frutti interessanti. D’accordo che siamo ancora a luglio e bisognerà probabilmente fare ancora un bel po’ di tara al tutto, ma una cosa sembra essere chiara, ovvero che il tecnico di Certaldo ha fatto capire quello che vuole dalla sua nuova squadra, e soprattutto di avere i mezzi e la volontà per ottenerlo. La gara di mercoledì contro il Bayern Monaco può dirsi altamente indicativa: contro un avversario presumibilmente più avanti nella condizione che sulla carta avrebbe potuto fare un sol boccone di una squadra qualitativamente inferiore, pur reduce da una brutta sveglia col Milan e che ha rischiato di veder sfumare una vittoria in extremis col Chelsea, l’Inter ha mostrato davvero un bel volto al di là della vittoria: solida, attenta, compatta, cinica, in grado di non lasciare nemmeno una vera occasione all’avversaria. Calcio estivo, d’accordo, dove magari la partita di questo pomeriggio contro i Blues di Antonio Conte può finire in maniera diversa evitando nel caso di fare troppi drammi. Ma questi tratti tecnici e caratteriali vanno allenati sin da subito perché poi sono i punti chiave per la costruzione di una squadra e devono rimanere impressi a lungo nella mente dei giocatori.
È questo punto che deve far maggiormente riflettere: anche con un numero di elementi che si presuppone non essere quella definitiva, Spalletti sta cominciando a dare al gruppo nerazzurro a dare un’identità concreta; soprattutto, si vedono i primi sforzi atti a ripristinare quella dignità e quell’orgoglio che qualche mese fa sono andati persi in un modo che non è forse nemmeno troppo azzardato definire vergognoso. Spalletti che sa che ancora non può bastare, e che ora è chiamato a insistere su chi c’è in gruppo per evitare cali di tensione e proseguire nel suo percorso di crescita e su chi ha il dovere di consegnargli nuovi giocatori per far sì che non si perda ulteriore tempo e che quanto prima arrivi quella gente che possa completare al meglio la sua creatura. Anche se definirlo nervoso per questo, si è capito, appare un po’ eccessivo.
Tutto questo senza scendere a compromessi o magari farsi ammaliare da prestazioni estemporanee, specie se per alcuni la sentenza pare essere già stata in qualche modo emessa, chiedere a Stevan Jovetic per eventuali informazioni; e tutto per costruire un’Inter che ha necessità assoluta di rilanciarsi anche e soprattutto in base a quella frase, quel mantra, che è diventato subito un tormentone nelle ore successive all’annuncio dell’arrivo di Spalletti all’Inter. Per un destino forte servono uomini forti, nel fisico e nella mente. E mai come questa volta, non sembra esserci altra strada.
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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