Milito, Milito, Palacio. Autunno, novembre per l’esattezza, del 2012. Dieci lunghi, infiniti, anni senza riuscire a fare bottino pieno in quello che a rigor di numeri nell’ultimo decennio è stato a tutti gli effetti il fortino più duro da espugnare per la squadra di Milano. Statistiche e premesse che non sorridevano particolarmente ai campioni d’Italia, partiti per Torino quasi da sfavoriti a giudicare dai risultati che nell’ultimo periodo si erano succeduti nel percorso di un'Inter che da quella Supercoppa vinta, contro i bianconeri, sembrava esserne uscita quasi più indebolita che rafforzata.
Premesse da brividi e avvio di gara altrettanto. Uno Juventus-Inter iniziato a suon di fischi, cazzotti (si fa per dire), concitazione e qualche isterismo che lasciavano pensare ad un improvviso e inaspettato crossing-over sportivo che di calcio sapeva quasi solo di striscio. Della serie lo chiamavano derby d’Italia perché scontro all’ultimo sangue pareva brutto. Brutto come i primi 30 minuti dell’Inter, impallata e inchiodata da una Juventus che parte con passo e verve di gran lunga migliore agli avversari che per vari tratti hanno lasciato temere più di qualcosina a uomini e tifosi di Inzaghi. Brividi per Handanovic e compagni che finiscono col perdersi lungo la schiena degli interisti per l’imprecisione dei bianconeri e qualche bacio in fronte al capitano nerazzurro della dea bendata. Nervosismo, un pizzico di frustrazione e tanta, tanta furia agonistica che fanno dello Stadium una bolgia in campo e sugli spalti, tornati finalmente pieni al 100% della capienza, al netto della bassissima presenza nerazzurra per via di una sacrosanta protesta che a differenza dei pronostici non è servita a favorire i padroni di casa, finiti ad abbassare i decibel col passare dei minuti, a partire dal 45esimo del primo tempo in avanti. Ma poco importa, quantomeno al momento. Ciò che al contrario importa è il risultato, lo stesso che ad quasi un paio d'ore dal triplice fischio del consumato Irrati (per tutti i fischi elargiti) dice che a vincere sono gli uomini di Inzaghi travestiti da allegriani.
Nella notte della rivalsa ma con un avvio che sembrava preannunciare un'ennesima, arrovellata e rovinosa gara che avrebbe quasi definitivamente tramortito animi, classifica e stagione, i nerazzurri si improvvisano lupi travestiti d'agnelli... o appunto d'allegriani. Eh? E che vorrebbe dire? Semplice come il gioco del calcio: non importa come, l'importante è vincere. Mai come ieri sera, all'Allianz vincere non era importante, ma fondamentale. E sì, se vi piace di più, l'unica cosa che contava. Via l'estetica, via il divertimento, via le complicazioni e vai di corto muso. La bellezza dell'inzaghiana Inter del 2021 sembra ormai lontana da un pezzo e ritrovarla in Corso Scirea a Torino non sarebbe stata di sicuro l'idea migliore. Lo sapeva Inzaghi e lo sapevano i ragazzi e sebbene un match che per buoni centocinque minuti ha invecchiato i nerazzurri di almeno venticinque anni per fortuna loro (e nostra), il pensiero di tornar belli proprio contro la Juve non ha minimamente sfiorato né Inzaghi né i suoi. A sfiorare il vantaggio prima, e più volte il pari successivamente però sono i bianconeri più volte pericolosi sotto porta, più volte aggressivi dalle parti di Handanovic, ma più volte imprecisi e tutte le volte finiti con l'essere inefficienti ad onta del tentativo di artiglieria pesante schierata da Allegri sin dall'inizio con Morata, Dybala e Cuadrado tutti in campo. A salvare gara e sogni di risalita in ottica scudetto dei bianconeri non riesce neppure Vlahovic, ingabbiato da un sontuoso Milan Skriniar mai intimorito neppure da un'ammonizione che ne avrebbe potuto tarpare le ali e che al contrario giova da carica di un'asticella già bella spinta al massimo. Non è bello ma piace. E come se piace lo slovacco.
Skrigno come l'Inter, brutta assai in quel di Torino ma finita per piacere tre volte e più la bruttezza mostrata in campo. Nel bel mezzo di un primo tempo che per trenta minuti ha visto i padroni di casa protagonisti quasi assoluti, una pioggia di falli, cartellini ed episodi da moviola da emicrania, a risolvere il match è ancora il duetto non duetto Dumfries-Alex Sandro, (non) esattamente come all'andata protagonisti di un fallo che rimanda dritti al dischetto. Il pestone questa volta c'è ed è insindacabile, ma Irrati non lo vede e non lo concede a differenza del VAR che chiama l'arbitro della sezione di Pistoia al monitor con conseguente rigore a favore dei nerazzurri. Dagli undici metri va Calhanoglu che nell'uno contro uno con Szczesny si lascia beffare dal polacco che intuisce e para ma respinge dritto sui piedi del turco che in una matassa di gambe spinge il pallone alle spalle dell'estremo difensore bianconero. Gol Inter. Incredibile, ma gol Inter. Ma il bello deve ancora venire. E come se rigore sbagliato-ribattuta-gol non fosse già uno scenario abbastanza complesso da gestire persino per i non cardiopatici, Irrati annulla la rete per presunto fallo di Calhanoglu su Szczesny. Ancora VAR, ancora monitor e ancora un plot twist. Rigore da ribattere: per l'ingresso in area di De Ligt in anticipo al momento del tiro del 20 interista che rimanda di fatto il turco a tu per tu con l'ex Roma. L'ex Milan non cambia registro e spedisce ancora una volta sulla sinistra, Szczesny intuisce ancora ma questa volta non para: vantaggio Inter e nessun altro ripensamento. Grandine più che pioggia di falli e fischi che interrompono il gioco nel secondo tempo in maniera pressoché fastidiosamente perenne, bianconeri che continuano a martellare e tanta fatica nell'arginare, contenere e creare ma soprattutto concludere. L'Inter però resiste e non molla. Non questa volta e a differenza dello scorso derby (quello di Milano) e dello scorso rientro dalle Nazionali, non stacca la spina fino all'ultimo respiro. Intelligenza, sacrificio e soprattutto tanto, tantissimo cuore riportano a casa tre punti, entusiasmo e una vittoria in casa della Juventus dopo dieci lunghi anni.
Sembrava impossibile ma Calhabbiamo fatta.
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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