Il giorno dopo la delusione è anche superiore rispetto a quella a caldo. L'analisi di un'eliminazione inattesa porta a dovute riflessioni che però devono essere filtrate da scorie emotive, dando spazio alla necessaria lucidità.
Giusto partire da un presupposto: l'obiettivo dell'Inter era provare ad andare avanti il più possibile, dopo aver superato il girone come da previsione/aspettative della società. Il percorso fino a Istanbul ha invitato tutto l'ambiente a pensare che si potesse fare qualche chilometro in più in Champions, senza considerare un aspetto determinante: i dettagli.
Perché sono proprio quelli a fare la differenza in una competizione talmente impegnativa da non potersi permettere una serata storta. L'Atletico Madrid se l'è concessa al Meazza ma non ha pagato dazio, portando a casa la pellaccia con un solo gol sul groppone. Quanto bastava per sperare nella rimonta nella propria comfort zone del Civitas Metropolitano, dove in Europa e in questa stagione non ha fatto prigionieri. Per contro, il vero rammarico per l'Inter è proprio non aver ottimizzato quanto prodotto in casa, dove l'1-0 è stato sì accolto con moderata soddisfazione ma con il senno di poi ha assunto i contorni della magra consolazione. E a Madrid non è stato sufficiente.
Infastidisce uscire dalla Champions contro un avversario sì di valore ed esperto, ma che nel doppio confronto non si è dimostrato superiore e ha agguantato la salvezza solo a tre minuti dal 90', grazie a un subentrante, Depay, che ha messo in crisi la retroguardia nerazzurra. E il rammarico è quel residuo di senso di colpa rimasto dopo aver gettato al vento più di un'occasione per chiudere il discorso ed essersi fatti raggiungere appena due minuti dopo il vantaggio firmato Dimarco. Non avremo mai la controprova, ma chiudere davanti il primo tempo avrebbe permesso una gestione più serena del secondo. Sui rigori inutile soffermarsi: spietati sin da quando hanno accantonato la monetina, altrettanto crudele ma senza colpevoli da lasciare agli annali. E alzi la mano chi, pensando a chi dei nerazzurri si sarebbe presentato dal dischetto, non prevedeva già un esito doloroso della lotteria. Non è banale pessimismo, è consapevolezza dell'assenza di rigoristi oltre a Calhanoglu, che il suo dovere dagli undici l'ha fatto come sempre.
Eccoli, i famosi dettagli. Gol sbagliati in oltre 210 minuti, squadra scarica in alcuni dei suoi principali giocatori a Madrid, l'episodio nel finale dei 90 e, infine, la Spada di Damocle dei rigori. C'è una buona componente di fato, ma senza sollevare la squadra dalle sue responsabilità. La Champions della scorsa stagione ha certificato come una buona dose di fortuna debba essere necessariamente accompagnata dal proprio contributo, altrimenti rimane fine a sé stessa. Mercoledì sera i Colchoneros hanno assecondato questa logica, forti di un'esperienza nettamente superiore in Champions League. L'Inter no. E l'esito è stato inevitabile.
E ora? Si va avanti. Consapevoli di non aver colto l'occasione europea ampiamente alla portata (l'Inter è ormai una realtà ampiamente riconosciuta anche oltre i confini nazionali), senza tuttavia azzardarsi a riconsiderare la bontà di questa stagione. Che è e rimane strepitosa, per quanto altrove si faccia a gara a chi vuole appesantirla dall'eliminazione in Champions (e in quell'altrove c'è anche qualche interista...). Incidente di un percorso quasi perfetto, in assoluta sintonia con gli obiettivi stagionali. Rimane il rammarico, certo, così come il rischio di replicare la scorsa annata del Napoli, lanciatissimo da tempo verso lo Scudetto ma deluso dalla campagna internazionale. Il segreto è l'atteggiamento con cui verranno affrontate le prossime settimane, dentro e fuori dal campo. E la sensazione è che sia i giocatori sia i tifosi nerazzurri continueranno a godersi questo viaggio partita dopo partita, fino a toccare con mano la seconda stella. Il vero obiettivo dichiarato.
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