Lisbona terra di sogni. Benfica, dolci ricordi e, si spera, passaporto attuale per tornare a volare alto nell'Europa che conta. Ma solo una settimana fa c'è stata Salerno, con quel pari beffa che sa di sconfitta, dopo ben dieci ko reali in ventinove partite maturati in questo irreale campionato interista che ora recita in modo sinistro: quinto posto. L'Inter di coppa gioca, lotta, impone e vince.
In Italia gli stessi interpreti, allenatore compreso, scivolano su troppe bucce di banana per imprecare solo alla sfortuna. Questione di testa, di motivazioni, di concentrazione che, quando non c'è un domani, raggiungono i massimi livelli e siccome i valori tecnici in questa Inter non mancano, è più facile arrivare a dama. Nel lungo percorso che si chiama campionato, invece, sembra scomparso il gruppo granitico dello scudetto targato Antonio Conte, che riusciva a entrare nel cervello dei giocatori anche alla vigilia delle gare più scontate sulla carta. In campionato non si può più scherzare, pensando che intanto gli altri perderanno punti.
Mancano nove partite al termine del torneo nazionale, tante o poche a secondo dell'umore che abbiamo guardando la classifica, ma il traguardo che si chiama piazzamento tra le prime quattro DEVE essere raggiunto. Lo sa Simone Inzaghi, lo sa la dirigenza, lo sanno i tifosi. Che inizino a convincersene anche i giocatori. Tutti, anche quelli che pensano di non indossare più la maglia nerazzurra la prossima stagione. In un club che si chiami Inter, non si può essere professionisti a giorni alterni, perché dietro a spingere c'è un popolo immenso e appassionato e il lauto stipendio arriva regolare ogni mese.
Martedì scorso, quando l'arbitro inglese Oliver ha fischiato la fine della partita perfetta giocata a Lisbona, penso che quasi tutti i tifosi della Beneamata abbiano provato una grande emozione e un grande orgoglio da mostrare al mondo intero. Nello stesso tempo penso anche che sia aumentata l'incazzatura per non vedere lo stesso spirito settimana dopo settimana. L'augurio è che la prova del Da Luz, mix perfetto di tecnica, tattica e senso di appartenenza, sia stata una sorta di doccia rigeneratrice per una squadra e un ambiente che forse non hanno ancora superato la delusione per non aver portato a casa scudetto e conseguente seconda stella la scorsa stagione.
“Non c'è tempo per morire”, disse il grande Giampiero Galeazzi durante il finale di una delle sue leggendarie telecronache di canottaggio che vedevano protagonisti i mitici fratelli Abbagnale. Non c'è più tempo per sbagliare per questa Inter che questa sera ospita al Meazza il Monza, e mercoledì prossimo, sempre nel “Tempio”, disputerà il secondo tempo della sfida europea con il Benfica. È scoccata l'ora della verità. In campionato, dove l'orologio va aggiustato al più presto e in Champions, dove invece la lancette scorrono che è un piacere contro ogni ragionevole pronostico stilato a inizio avventura.
La gente nerazzurra, come al solito, ha già vinto. Il Meazza sarà sold-out contro il Monza, sold-out, naturlmente, mercoledì 19 contro Joao Mario e compagni. Come non ci sarà un posto vuoto il 26 aprile quando, contro la Juventus, ci si giocherà un posto nella finale di Coppa Italia, vinta dall'Inter nella scorsa stagione. L'1-1 maturato a Torino con il rigore finale di Lukaku deve essere il primo passo verso un nuovo successo contro la storica rivale. Ma si faccia un passo alla volta, anche se costretti a scendere in campo ogni tre giorni da un calendario impietoso.
Dicevamo di Lukaku. Big Rom si conferma splendido rigorista e la cosa alla lunga porta punti e vittorie importanti, come quella di Lisbona. Non vediamo l'ora di rivederlo anche devastante nella corsa e nello strappo con l'uomo addosso. Lui si sta impegnando al massimo per tornare a certi livelli e partita dopo partita la condizione sembra migliorare. Contro il Monza Lukaku partirà titolare, da scegliere il patner iniziale che con ogni probabiità sarà Correa. Poi ci dovranno pensare gli altri e con Bastoni, Barella e Brozovic versione Lisbona, l'Inter può tornare a vincere anche in campionato. Lo meriterebbe Simone Inzaghi. La critica può essere sacrosanta, se motivata. La mancanza di rispetto, per uno che all'Inter tiene veramente, no.
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