Molti indizi, tante prove. L'Inter non solo ha dimostrato superiorità tecnica rispetto alla Juventus, ma l'ha fatto dominando le differenti contingenze del gioco. L'abbiamo sempre annotato: il segreto del lavoro di Inzaghi risiede nello spirito di gruppo, nel far sentire tutti importanti, unendo qualità tecnica e quantità agonistica. Il collettivo, in questa fase della stagione, particolarmente importante, considerando la Champions alle porte, è sul pezzo più che mai. Calma, tranquillità e consapevolezza: il tratto identitario del Biscione è stato rafforzato con grande convinzione dalla finale di Champions League persa contro il City. L'unica pecca, se proprio vogliamo essere pignoli nella nostra analisi, è la poca precisione offensiva che impedisce all'Inter di chiudere partite stradominate sul piano del gioco e delle azioni offensive. La Juve si è presentata a San Siro per chiudersi a riccio, facendosi, come spesso accade, attrarre troppo dalla difesa dell'area di rigore (come spesso accade). E Inzaghi ha scombussolato i piani dei tre difensori bianconeri con qualche movimento tattico, come le incursioni di Pavard o gli spostamenti di Dimarco, che si posizionava quasi a disturbare le posizioni di Bremer e Danilo.

L'esperienza si costruisce con l'apprendimento attraverso i sensi. E le pedine inzaghiane stanno ampiamente dimostrando di saper controllare gli spazi, le pericolosità e quel calcio verticale che probabilmente anche Sacchi, adesso, starà iniziando a comprendere. Uno sviluppo intenso, dinamico, basato sulla spinta costante, progressiva, continua e soprattutto imprevedibile. Come evidenziato con un articolo uscito su queste frequenze in serata, i più acuti osservatori del mondo pallonaro avranno potuto constatare tante differenze tra Inter e Juventus. Tra queste anche le modalità di distribuzione del possesso. Non tanto l'efficacia dei passaggi, ma la rapidità con la quale Calhanoglu e soci cambiavano fronti di gioco e intenzioni per accelerare la manovra. Locatelli, dal canto suo, ma anche Yildiz, molto spesso hanno pensato al compitino, al passaggio all'indietro od orizzontale. E dunque la differenza fondamentale tra chi vuole vincere e chi può vincere risiede anche nella mancata assunzione di responsabilità. Un disclaimer che in casa Inter non esiste. Anche le seconde linee sanno quali tasti toccare per scacciare la prevedibilità, una condizione che reprime le spinte battagliere.

Piccola appendice sul tema riforme. Ormai avete imparato a conoscemi: in ogni editoriale tocco questa tematica perché, sin dai primi passi in questo mestiere, quando seguivo professionalmente le sorti del Siena, ho avuto modo di osservare minuziosamente tanti misfatti che hanno caratterizzato la politica del calcio italiano (se fate una piccola ricerca sul web trovate diversi approfondimenti a mia firma). Misfatti che proseguono, dalla A alla D. Tanti personaggi ritornano quasi ricorsivamente dopo aver fatto fallire puntualmente squadre blasonate. Prestanomi pronti a metterci la faccia per conto di terzi, stipendi (o rimborsi) non pagati. Ormai le nostre sono parole vuote perché è da troppi anni che si ribadiscono, tra le segrete stanze dei bottoni, frasi puntualmente tradite e disattese. Ora sembrerebbe che la riforma sia molto vicina a essere compiuta. Si vocifera di un taglio di squadre professionistiche da 100 a 80. I tagli dovrebbero coinvolgere la Lega Pro, a cui potrebbe esser anche tolto peso politico. Quali criteri verranno adottati? Chi vivrà, vedrà. Ormai non mi stupisco più di nulla...

Sezione: Editoriale / Data: Gio 08 febbraio 2024 alle 00:01
Autore: Niccolò Anfosso
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