Mancano quattro giorni a Inter-Juventus, ovvero la partita più importante delle prime 23 giornate di questa Serie A, e ancora il tema tecnico-tattico del derby d’Italia non è stato trattato nemmeno di striscio. Tutti o quasi sono impegnati a dissertare di arbitri, intesi come classe, quasi a voler anticipare le sicure polemiche che scaturiranno dagli episodi più controversi che capiteranno nella partita di San Siro. Una volta c’erano trasmissioni tv che invocavano la moviola in campo, proprio mentre facevano quella in studio che portava gli ascolti alle stelle, ora che il VAR è ai minimi storici in termini di popolarità si è tornati alla cultura del sospetto pre-Calciopoli. Non bastava la classifica dei torti e dei favori di questa e quella squadra, più o meno aiutata dal Palazzo a seconda della teoria del complotto più in voga, ora ci si è messo anche un componente della squadra capitanata da Gianluca Rocchi che, nell’anonimato, ha denunciato la presunta esistenza di dinamiche politiche per promuovere o bocciare i direttori di gara, col rischio di falsare il campionato. Rieccolo lì il verbo tanto temuto di cui pensavamo di esserci liberati come intero sistema dopo aver voltato una delle pagine più nere del calcio smascherata nell’estate 2006. Un verbo sopra il quale in molti ci sguazzano, cavalcando gli errori piccoli o grandi commessi tra i campi del campionato e Lissone.
Il clima è diventato avvelenato a cavallo della fine e dell’inizio dell’anno, toccando il suo culmine dopo Inter-Verona, quello del gol contestato di Davide Frattesi che ha regalato una vittoria insperata a Simone Inzaghi. Sean Sogliano parlò di "mancanza di rispetto" verso l’Hellas, una dichiarazione pesante a cui Rocchi rispose non proprio con delicatezza nel corso della tradizionale conferenza stampa di metà stagione a Coverciano, dove fece un consuntivo del girone d’andata a livello arbitrale, tra errori certificati ed evitati da parte dell’AIA: "Ma il rigore (di Henry, ndr) non l’hanno sbagliato Nasca o Fabbri", disse il responsabile della CAN A e B. Un’invasione di campo antipatica esattamente come quando un dirigente o un allenatore giustificano un risultato negativo dando tutta la colpa a un fischio sbagliato.
Così non se ne esce, anche perché nessuno ha la fedina pulita. Anzi, c’è chi si porta addosso la croce di un errore commesso anni prima, se questo è passato alla storia come quello che ha indirizzato una corsa scudetto: Paolo Tagliavento sarà sempre quello del gol fantasma di Sulley Muntari in Milan-Juve, Gianpaolo Calvarese quello che chiuse la carriera assegnando un assurdo rigore per fallo inesistente di Juan Cuadrado su Ivan Perisic alla Juve, che anche grazie a quei tre punti si qualificò in Champions all'ultima giornata. Tra quelli in attività, Daniele Orsato è quello del mancato doppio giallo a Pjanic in Inter-Juve del 2018 che fece perdere il titolo al Napoli in albergo, secondo la versione dell’allora tecnico azzurro Maurizio Sarri. Per quella direzione di gara obiettivamente pessima, il fischietto di Schio non ha arbitrato l’Inter per 3 anni, 4 mesi e 18 giorni. In tutto, da quel famigerato 28 aprile 2018, Orsato ha incrociato i nerazzurri solo quattro volte, che non diventeranno cinque domenica. In attesa che qualcuno, ufficialmente, spieghi questa scelta, con la stessa trasparenza con cui si fanno sentire i dialoghi in ‘Open Var’, è d’obbligo fare un in bocca al lupo al signor Fabio Maresca, l’arbitro designato per la gara storicamente più delicata di tutte, che quest'anno ha pure il carico di essere decisiva per lo scudetto.
"Sei sempre tu, Maresca", avrebbe urlato il doppio ex della gara Antonio Conte. Anche lì il riferimento del tecnico leccese era a un precedente negativo con l’arbitro della sezione di Napoli. La classica memoria selettiva che accomuna allenatori, calciatori e dirigenti, ma anche tifosi, per cui di un arbitro ci si ricorda solo quando sbaglia. Ecco, servirebbe un arbitro anonimo per evitare pregiudizi. Ma da mandare in campo, non a parlare con 'Le Iene'.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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